Credo sia impossibile assistere ad un concerto di Erlend Øye senza sorridere.
Ieri sera ha regalato un piccolo cameo in formazione intima, solo corde, con altri tre della “comitiva” , Stefano Ortisi, Luigi Orofino e Marco Castello, che ha presentato con orgoglio.
Inevitabile pensare ai Kings of Convenience ed al loro indie pop soleggiato, ma se quello è un timido sole primaverile, Erlend, da solo, porta con sé il sole pieno dell’estate, quello della spiaggia di Siracusa (“zona balneare”, perché è un tipo preciso) che tanto ama.
Da solista sembra più libero, intenso e caciarone, più “siciliano”, insomma.
Sarà per gli accordi armonici e accessibili (che nella versione album mi sembrano accentuare un richiamo di sottofondo al genere ska), per il sorriso e l’aspetto da eterno adolescente timido, per i suoi balletti -o meglio, il modo in cui lancia in aria braccia e gambe- o per tutte queste cose insieme, ma ieri, sia pure con cinque canzoni, mi ha suscitato una simpatia immediata.
Perché crea empatia in modo istantaneo, sotto e sopra il palco, perché sembra una persona che se ne frega delle differenze, che ha reinventato il suo posto nel mondo e poco importa se questo si trova a 3000 chilometri da dove è nato.
Perché “casa” è dove una parte di te si sente libera di uscire fuori, in modo sorprendente e magari orientare la tua vita in direzioni inimmaginabili. E la musica può unire ciò che sembra scoordinato e creare nuove armonie, aprire un ventaglio colorato di possibilità.
Erlend Øye e la “comitiva”, Retronouveau, 27/04/2018.
Sara Di Bella