“Di centomila son rimasto solo uno”

“Di centomila son rimasto solo uno” è l’opera prima di un giovane giurista-cantautore di Reggio Calabria, che come tutti sanno, viene ricordata per essere la città con il panorama più bello d’Italia.
Vorrei provare a raccontare il primo disco di Andrea Irto, usando come base quattro parole, con le iniziali del suo cognome: Insoddisfazione, Ricchezza, Tenerezza, Originalità.
Insoddisfazione: tutte le quattordici tracce, sono dei micro-racconti che sembrano ruotare attorno al concetto di insoddisfazione, che forse è l’unico capace di descrivere pienamente la natura umana.
L’impiegato assenteista di “Va così” ci racconta l’insoddisfazione di un parassita della società, malato immaginario di apatia, causa ed effetto di un sistema immobile e stagnante che premia gli immeritevoli. “L’inno di Mameli” è cantato da un giovane lavoratore precario ed è un intelligente omaggio a Gaber, che dell’inno nazionale “non sentiva un gran bisogno”. In “Godot” l’insoddisfazione viene declinata nella forma dell’attesa della data di una promessa che sembra non arrivare mai, come i risultati dell’esame di avvocato.
In altre tracce, all’insoddisfazione si aggiunge la (particolare) Ricchezza, lessicale, stilistica e di riferimenti, come ne “la trama”, che ha un testo pieno di metafore e complesso come un ricamo e in “un’ora di volo” , intessuta di suggestioni cantautorali, dalle esplicite citazioni (“non son stato divertente” e “a muso duro”) ai richiami più sfumati, principalmente a De André. Ricche sono anche “la regola del fuori gioco”, in cui si sente sempre forte la lezione ritmica di De André, con richiami cinematografici cult ed incastri di parole, rime ed assonanze (“impresa-sorpresa”) alla Gazzè e “la maschera” con i suoi riferimenti letterari pirandelliani.
La Tenerezza si ritrova in“Je suis Maman”, in cui la voce narrante di Andrea alterna diverse tonalità e sottolinea l’inadeguatezza della falsa empatia da tastiera di tutti i benpensanti a cui si contrappone il canto doloroso di una madre che vede un figlio partire da immigrato; mi ha ricordato la semplicità e la bellezza del canto curdo di Abdulla Goran.
Infine decisamente Originali sono “successo assicurato”, e “non è mai abbastanza” che riprendono con grande ironia il tema delle aspettative altrui e dell’insoddisfazione che generano se interiorizzate, il ritmo incalzante di “1950.Ver.2.0 “ e poi ” vicolo cieco” nitida fotografia della mentalità omertosa che pare un quadretto uscito da un romanzo di Sciascia, “servo e padrone” in cui si sente l’influenza di De Gregori e “due anime gemelle”, ritratto di un femminicida, malato di egoismo, delineato attraverso un contrasto fortissimo fra la dolcezza della musica e del tono di voce ed il punto di vista allucinato ed ossessivo, rappresentato ad esempio dall’uso dell’anafora (“lei era mia”).
Ciò che colpisce di questo disco è l’approccio profondamente empatico, ma sempre filtrato attraverso l’ironia; si fa apprezzare inoltre la cura sartoriale nei testi, prodotto di una cultura solida e poliedrica. Ne viene fuori un album che parla di “sociale”, meritevole di attenzione, poiché ad ogni ascolto si colgono particolari nuovi.
In conclusione “Di centomila son rimasto solo uno”, pur essendo solo uno, fa davvero un ottimo lavoro.

 

Sara Di Bella

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